L’articolo di Irene Tinagli, intitolato Perché non siamo un Paese per scienziati e pubblicato su La Stampa.it, suona come un appello alla classe politica e accademica italiana. Una classifica della Virtual Italian Academy, associazione di accademici espatriati che valuta la performance in termini di pubblicazioni e di impatto accademico di 400 ricercatori italiani, ci ricorda infatti che tra i migliori cervelli Italiani due su tre lavorano all’estero.
Se su 400 nomi di grandi cervelli, in 268 lavorano ancora in Italia, circa 6 su 10, il punto è, come sottolinea la Tinagli, che tra i migliori 20 solo 7 lavorano in Italia, gli altri 13, ovvero il 65%, sono tutti fuori. Allargando la lista ai top 50 le cose non migliorano molto: quasi il 60% dei migliori 50 è all’estero”. Non solo gli altri Paesi ci rubano tutti quelli più bravi, ma significa che, come sottolinea laTinagli, “chi è andato all’estero, pur avendo già una marcia in più, ha trovato le condizioni giuste per poter sfruttare questa marcia e correre più veloce verso la meta”.
E’ una questione di contesto in cui si forma e opera la produttività intellettuale. In Italia, come emerge dalla classifica, non ci sono le condizioni per crescere e affermarsi, e neppure quelle per formare le nuove generazioni di scienziati. In Paesi come gli Usa, la Francia, la Svizzera, vige un sistema oliato, che come puntualizza la Tinagli, non a caso Docente all’Università Carlos III di Madrid, non solo garantisce all’individuo bravo l’opportunità di lavorare bene e di emergere, ma dà a tutto il sistema di ricerca nazionale una continuità fondamentale per contribuire al benessere e alla crescita del Paese”. Ulteriore aspetto che evidenzia sempre su La Stampa Flavia Amabile è poi che proprio i cervelli italiani più giovani con meno di 55 anni sono all’estero. Quelli che ce l’hanno fatta senza fuggire hanno tutti più di 55 anni.
Come conclude la docente collaboratrice de La Stampa ci vogliono qualità come costanza, consapevolezza, lungimiranza, dentro e fuori le università, che implicano uno sforzo collettivo, economico e culturale. Per questo l’emergenza italiana è quella di lavorare di più sulle condizioni per creare un sistema motivante e funzionale, affinché chi resta in patria possa essere produttivo al pari dei propri colleghi all’estero. Per superare una situazione anomala in un Paese con così tanti talenti.
Pubblicato su Campus.it
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