Visioni/Vite moderne in palcoscenico


Ho sempre considerato il teatro come una parentesi piacevole nella quale vivere storie tra finzione e realtà, a volte piangendo, ridendo, sorridendo, riflettendo, raramente addirittura dormendo!

Capita anche che i due piani, fiction e soggetto della sceneggiatura, combacino e che il palcoscenico si nutra a piene mani di fatti reali in cui l'arte scenica non fa altro che accentuare, esasperare, enfatizzare, ironizzare, svelare e semplicemente drammatizzare in modo grottesco dinamiche che appartengono a scene di vita quotidiana. Lo spettacolo di cui riporto qui sotto il comunicato stampa ne è un esempio. Si racconta il lavoro, da un punto di vista opposto alle solite lamentele da precario. Si racconta il lavoro che c'è, ma che a volte è svuotato di tutto ciò che la parola lavoro contiene, considerato come significato ovvero concetto e non come significante, si parla del lavoro che consuma e invade le giornate, il lavoro che non vale più o vale sempre di meno, non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto da quello sociale e valoriale, riassumibile, a mio parere, in una domanda: "Stai vivendo la vita che vuoi?"


Da mercoledì 26 a domenica 30 gennaio 2011 - ore 20.45 – domenica ore 16 – Teatro della Cooperativa

Prima nazionale

Lab 121 presenta

TEMPO INDETERMINATO

di Elisabetta Bocchino

regia Maria Pia Pagliarecci

con Paola Palmieri, Ginevra Notarbartolo, Denis Michallet

scene Alessandro Aresu

costumi Paola Tintinelli



Lella è una Tempo Indeterminato. La sua potrebbe sembrare una vita squallida, con un lavoro di routine e relazioni umane inconsistenti, ma c’è un’incrollabile certezza che la tiene a galla: dalla sua scrivania non la schioderà mai nessuno. E questo le dà un vantaggio sui colleghi, sui Contratti a progetto, sugli Interinali, sui Tempo Determinato; lei è migliore, lei ha dei diritti, lei non annaspa come gli altri. Una clausola contrattuale diventa una rivendicazione di identità e tutti, tutti gliela devono riconoscere.

L’ufficio, la casa, la discoteca, intesa come il santuario del divertimento prefestivo, sono il terreno di caccia della Lella, che cerca di travolgere tutto e tutti, forte del suo status sociale.

I colleghi, coi quali non sarà mai solidale, intervengono nella sua vita, come nel racconto, appannati e intercambiabili, a sussurrare il loro punto di vista.

Inconsapevolmente frustrata, Lella non ama nessuno a parte il Capo-Orco e sviluppa un odio profondo per chiunque non riconosca a pieno la sua posizione di supremazia. Proprio quando sembra che niente possa minacciarla, tutte le sue paure prendono le forme di una bionda, Claudia. E’ solo una stagista, ma giovane e carina, e, come Lella nota con disappunto, gode di facilitazioni che dovrebbero esserle precluse.
Il progetto
nasce dall’osservazione, da esperienze di vita e dalla conoscenza diretta degli ambienti di lavoro che vengono raccontati. E tra quei corridoi, quei neon, quelle scrivanie sbeccate in formica, se si riesce a mantenere la lucidità, non ci si può non porre una domanda: dov’è finita la solidarietà? Perché non si fa più gruppo, non si lotta insieme?

Si tratta quindi di una riflessione, a volte decisamente amara, sui paradossi, sui drammi e le contraddizioni dell’ “universo lavoro”, ma inevitabilmente lo spettacolo pone al centro anche e soprattutto i rapporti umani. E l’ambiente di lavoro è un ottimo campo di studio.


Di Maria Teresa Melodia
mariateresa.melodia@gmail.com

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