Il nome di Guido Stagnaro, classe
1925, a molti della mia generazione (gli spumeggianti e tragici anni ’80) non
dice molto. E allora sono felice di raccontarvelo perché di lui so tutto o
quasi. Aprire il cassetto della memoria è stato faticoso ma liberatorio. Guido
non è più quaggiù dal primo pomeriggio del 18 febbraio 2021 per complicazioni
legate al Covid; aveva 96 anni, come hanno riportato i tanti siti web (grazie tra i molti a La Repubblica.it , Il Sole 24ORE, Rainews.it) e
quotidiani che hanno ripreso l’Ansa a cui ho dato la notizia. Non volevo che il
mondo si dimenticasse di lui, di nuovo.
Metto in fila questi pensieri per voi
perché la sua è una storia utile ai più e meno giovani a cui brucia
l’inquietudine di realizzare i propri sogni, insegna a lottare con gentilezza e
cocciutaggine, coraggio ed eleganza. Guido era un uomo dall’immaginazione
fervidissima che ha vissuto a pieno ritmo la nascita della televisione italiana
e la sua evoluzione sulle reti private, dal 3 gennaio 1954 ai primissimi anni '90,
segnando il passo delle novità in ogni decade.
Dovete sapere che Guido
è stato molto famoso: era un regista, anzi un favolista, come si definiva. Oltre ad essere il
papà di Topo Gigio, ha scritto centinaia di fiabe. Ha creato la tivù. Ha
lavorato in ordine sparso con Franca Valeri, Patty Pravo, il Quartetto Cetra, Giuliana
Lojodice, Nino Manfredi, Lucilla Morlacchi, Enzo Tortora, Claudia Mori, Claudia
Lawrence, Marco Columbro, Luca Sandri, Lino Patruno e Nanni Svampa. Ha segnato
il debutto tv di Edwige Fenech della quale rimase affascinato dalla classe. Ha lavorato
con Ugo Tognazzi che lo invitò a una cena memorabile e a pensarci rideva ancora
di gusto. Ha diretto nel 1974 la prima trasmissione a colori Rai, tratta dal
famoso libro Alice nel paese delle Meraviglie, con protagonista Milena Vukotic.
Con lui Fabio Fazio ha esordito come prestigiatore in un quiz per la Rai
condotto da Emilio Fede, a cui consigliava di scaricare la tensione facendo le
scale prima della messa in onda. Con lui Donatella Rettore ha girato video
pazzeschi come Kobra, video girati per amicizia e affetto, non volendo
un soldo,
nell’Antenna 3 di Renzo Villa. E poi? Insomma, Guido ha fatto la tv con Umberto
Eco, Gianfranco Bettetini, Carlo Freccero, ma anche con Silvio Berlusconi e con
Craxi. E poi? E poi la politica è cambiata e, in libertà, come sempre, ha
scelto la ritirata.
“La mia vita è la fiaba che ho
scritto per me” potete leggere nell’esergo del libro nel quale ho raccontato
la storia sepolta nella sua memoria, che lui, riservatissimo ligure di Sestri
Levante, si è fidato di svelarmi nel 2014. Topo Gigio è la sua creatura più
famosa, nata nel 1959, come la definì il temuto critico Aldo Grasso che lo
conobbe nei corridoi della Rai di Milano dove, allora laureando, faceva il
ricercatore iconografico nella Cineteca di Corso Sempione. Il professor Grasso
era l’allievo pupillo di un altro grande uomo, regista e semiologo, Gianfranco
Bettetini che sul suo divano di casa mi raccontò dell’amicizia che lo legava a
Guido, sottolineandomi: “Ci unì il gusto dell’ironia e la capacità di vedere le
cose da diversi punti di vista”. Fu lui a spiegarmi la genesi del famoso topo
in moltoprene, costruito da Federico Caldura. Un topo che Guido Stagnaro trovò
per caso in uno scatolone abbandonato nella corsa quotidiana di macinare nuovi
personaggi con tanto di sceneggiature per le favole che proprio Bettetini
curava per la trasmissione tv Rai La Trottola. Quel pomeriggio di sole, a
Milano, trovai il tassello mancante nella vita di un pioniere creativo che
stavo cerando di ricostruire e conobbi un altro pioniere.
Nelle mie indagini scoprii che Guido,
punto nell’orgoglio, a un certo punto rifiutò i diritti d’autore sul famoso
topo portato al successo con gli amici e coniugi Caldura e Maria Perego, animatrice
di pupazzi e amministratrice della compagnia che insieme avevano fondato. “Non
rimpiango i quattrini e della mia vita non mi rammarico di nulla” mi disse poi a
distanza di tanti anni. La vena creativa non gli è mai mancata e ha fatto molto
altro. Se la vita è l’arte dell’incontro, lui l’ha celebrata al meglio. A
Milano ha realizzato i suoi sogni entrando nella tv
dell'unico canale dove ha inaugurato la Tv dei ragazzi, lavorando anche con i
grandi Pietro Garinei e Sandro Giovannini.
Sul set da regista viveva di
tensioni, si arrabbiava come quella volta che disse a un datore luci che
disturbava la scena “imbellinatelo nel cesso”. Odiava il chiasso e se c’era
troppo rumore al ristorante mugugnava. Amava la Bonarda bella frizzante e i
piatti semplici della sua Liguria, come il minestrone e la cima. Amava la
lirica, passione ereditata dalla madre e da giovane guidare auto sportive gli
piaceva un sacco così come andare in vacanza nelle Dolomiti trentine. Si
fermava sempre ad accarezzare i cani, a rischio di subire delle sgagnate
imprevedibili. Amava anche camminare, regalare libri, lui
che non riusciva più a leggere, e cioccolatini. Era dura non voler bene a Guido
perché era severo e dolce, attento e sprovveduto come un bambino. Lo sanno bene
alcuni dei compagni di lavoro che io e i miei genitori abbiamo riunito in un
localino per festeggiare i suoi 90 anni con una torta che riportava la scritta “Ma
cosa mi dici mai”, il suo payoff.
Guido aveva senso dell’umorismo, passione e amore per il bello, come mi ha
ricordato la sua amica attrice Sonia Gessner. E con la sua calma
saggezza era un punto di riferimento, come mi ha detto l’altra adorata amica Milena
Vukotic. Amava la
libertà e l’indipendenza più di tutto, non si è mai sposato, non ha avuto
figli, ha sempre vissuto da solo, anche a Natale schivava gli inviti delle
tante amiche. Aveva stile, era chic con uno straccetto addosso. Era stato
ferito dalle malelingue velenose del suo mondo e dispiaciuto che l’avessero
dimenticato. Della sua generosità e ingenuità alcuni si sono approfittati ma
lui non è stato mai cinico né vendicativo. La sua meraviglia provocata da
un’inesauribile fantasia aveva scatenato invidie,
ma lui aveva un atteggiamento disinteressato al
denaro, anche perché non aveva nessuno a carico.
Tra noi il colpo di fulmine era
scoccato un’estate a Sestri Levante, suo paese natio, dove l’ho incontrato
quando avevo poco più di 20 anni, era il 2006 mi pare. Lui aveva appena
superato gli 80. Me l’ha presentato mio papà che per caso divenne il suo medico
e un suo grande amico e confidente poi. “Dottore mi sono innamorato”, gli disse
dopo avermi visto la prima volta. Guido amava fare i complimenti a chi gli
piaceva. Era anche un attore nato. Ci aveva anche provato a recitare da
giovane, ma diceva di non avere il phisique du role. Si era
divertito molto però: aveva girato l’Italia con il
Crazy Show, spettacolo
d’avanguardia con una spassosa Sandra Mondaini. Tra noi c’era un rapporto d’affetto e di stima,
come tra un nonno e una nipote, tra un maestro e la sua alunna e poi, tra un genio-poeta
e una giornalista neanche trentenne che stava cercando la sua strada. Per me lui
è stato una guida.
Tutto
ciò che si ricorda non è perduto, tutto ciò che si ricorda resta. E io mi
ricordo che ho sotto al letto i copioni delle oltre trecento fiabe che Guido
Stagnaro ha scritto. È ora di farle rivivere. Non è una belinata. Mio padre,
come sempre, mi dice di darmi una mossa.
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