Good Vibes/Take it easy, per un giorno o per una vita


"Chi va piano va sano e va lontano" dice un vecchio proverbio italiano. Gli inglesi dicono con una sintesi perfetta "take it easy"... forse a volte un bel respiro e uno stop per capire quello che si fa e soprattutto perché si fa ci farebbe bene. Cosa dite? Può significare un semplice rallentamento o addirittura un'inversione di marcia. Comunque sia, un'occasione per rifletterci su arriva dalla Giornata mondiale della Lentezza, in programma oggi 28 febbraio da Agropoli a Washington.

E di lavoro, velocità e ritmi di vita quotidiani ne ho parlato con il professore Vito Volpe, psicologo del lavoro e presidente di Ismo. Leggete qui sotto:

Attività in multitasking, richiesta di standard competitivi in tempi record e giornate scandite da ritmi deliranti. E’ questa la giornata tipo di un lavoratore medio italiano per il quale diventa quasi inevitabile che stress e velocità siano sempre di più vocaboli ricorrenti nella dimensione lavorativa, con effetti dannosi per la salute. Come fare quindi a conciliare la filosofia della lentezza con il passo frenetico che attanaglia le nostre vite in città?Secondo Vito Volpe, psicologo del lavoro, fondatore e presidente di Ismo, società che aiuta le aziende nella formazione manageriale e dello sviluppo organizzativo, c’è da chiarire un primo punto fondamentale, ovvero la velocità è un falso mito. “Quelli che ho visto correre di più non sempre producono di più. Sono semplicemente più stressati. E sono da distinguere da coloro che obbligano gli altri a correre, quelli sono solo furbetti”, sintetizza l’esperto ad Affaritaliani.it.

Professore, la velocità è quindi un abbaglio più che un reale parametro che garantisce una produttività superiore…? “L’efficienza, cioè il rapporto tra quantità prodotta e tempo in Cina gode del fatto che la manodopera costa poco, piuttosto che di ritmi di lavoro frenetici. Noi italiani non ci possiamo permettere i cosiddetti lavori poveri dove la velocità potrebbe avere un senso, perché per quanto corriamo il costo del lavoro è sempre e comunque più basso in altre zone del mondo. Per esempio, nella Fiat la manodopera è il 7%, quindi qualora lo dimezzassimo in termini di costi, è sempre un piccolo valore rispetto al totale. La questione è un’altra e si chiama qualità: fare delle belle macchine, fare cose per le quali la lentezza è necessaria poiché la componente “ software”, cioè di progettazione, è fondamentale. Insomma, la ricetta giusta è realizzare prodotti di valore vendibili sul mercato sfruttando il Made in Italy. Un esempio concreto è quello delle scarpe firmate da noti nomi della moda italiana: ciò che fa la differenza non è la velocità di realizzazione, ma come vengono progettate, con il giusto tempo necessario”.

Centralità della qualità contro velocità. Eppure…? “Molte volte le persone vivono una nevrosi, quasi una copertura nel fare le cose sempre e comunque veloci. E’ vero anche che in certe situazioni il tempo va rispettato in quanto ci sono delle scadenze e degli orari. La velocità ha senso dove ha senso. Il correre per correre, come ha scritto Kundera, spesso nasconde idiozia, quando in pratica la velocità diventa un automatismo. Dal lato opposto c’è poi la lentezza patologica, ovvero il ritardo, che si traduce nel non rispetto dei contratti e degli accordi con penalità grossissime per le aziende”.

Quali sono gli errori da evitare quando parliamo di velocità e lavoro? “Bisogna fare innanzitutto due distinzioni: da un lato il lavoro progettuale e creativo proiettato nel futuro dove bisogna essere veloci, ma non superficiali, cioè veloci in senso relativo. I corridori di Formula 1 per esempio vanno velocissimi, ma sanno impostare le curve. Ci sono poi le routine, il lavoro operativo che però è spesso affidato alle macchine. Quello che fa la differenza è l’impostazione fatta dalla testa delle persone”.

In cosa dovremmo avere una effettiva e sana velocità? “Nello scambiare le idee. Più lavoro di gruppo, con una minor voglia di prevalere singolarmente e con più capacità di sinergia. Poi più velocità nelle mediazioni, nel mettersi d’accordo, dove comunque chi produce valore maggiore è più bravo. Le città, pur essendo il simbolo di una certa velocità, sono nate per avvicinare i poli della conversazione, per avere l’agorà dove si discute, luogo dei patti”.

In cosa invece dovremmo dare più spazio alla lentezza? “La lentezza è un valore, mi permette di guardarti negli occhi. Grazie alla lentezza ti sussurro e ti oriento invece di ordinare, mito di una velocità ignorante e cafona. La nostra società è tutta basata sulla progettualità: siamo sicuramente bravi perché più dialettici e non perché obbedienti come i cinesi. Ci sono poi dei modi di “perder tempo” in modo intelligente: la poesia, l’arte, la lettura, tutto quello che mette al centro la relazione. Conversare con qualcuno che non pensavi, il cosiddetto elogio al discorso inutile. La forza del nostro paese è la fantasia: il rischio è rincorrere ciò che non siamo e che non ci conviene neanche essere” . Cosa pensa della tecnologia? Ci fa essere a volte troppo veloci senza senso? “La tecnologia è uno strumento formidabile di una velocità che però appartiene alla macchina con lo scopo farci andare più tranquillamente. Va messa al nostro servizio. Vedo che i giovani sono in grado di innestare la tecnologia nella loro vita, sono le persone più adulte a fare della tecnologia un mito. Penso che umanesimo e tecnologia possano essere uniti in un discorso che ha una sua armonia e non in contrapposizione. E’ drammatico quando la tecnologia non è più uno strumento che aiuta a comunicare con persone lontane, ma diventa un sostituto alla relazione che potrebbe invece essere vicina”. La sua società, Ismo, lavora per grandissime imprese, da Benetton a Ferrero, da Gucci a Fiat. C’è qualcuno dei business man che conosce che riesce a vivere il lavoro senza farsi travolgere dalla velocità in tutto per tutto? “Dalle utilities a imprese industriali e delle moda le imprese hanno problemi connessi con la velocità, ma prima di tutto ci si deve porre la questione dell’armonizzazione. Nei sistemi competitivi ci si è accorti che la qualità aiuta e la tecnologia è centrale in questo processo, ma non per far correre il cliente, ma per aver più spazio di relazione con il cliente”.

Parlando di aziende e best pratices, qual è la sua opinione sugli ultimi accordi Fiat guidati da Marchionne? “Marchionne è un ottimo leader, ma autoritario. Credo che lui voglia dare maggior forza all’azienda, ma il punto centrale, a mio avviso, non è un minuto in più o in meno di intervallo, ma chi comanda il gioco. Se vogliamo affrontare la competizione internazionale quello di cui c’è bisogno è un’alleanza forte, una condivisione, una pluralità, un senso di partecipazione che il management deve trasferire ai suoi dipendenti”. Tra le altre aziende che segue, chi è bravo a bilanciare una giusta velocità con una filosofia del lavoro improntata alla qualità? “Aiutando le aziende a sviluppare le risorse umane il tema della partecipazione è intrinseco nella nostra filosofia. Un’azienda di grande routine come Ferrero, per esempio, presta molta attenzione alla qualità del prodotto e del lavoro degli operai, cioè si vuole che gli operai amino il prodotto. Invece di far correre, è importante puntare sulle competenze e sulla professionalità. Nelle aziende della moda, come Gucci, dove c’è un ambiente particolare che si spegne e si accende di sua natura, le esperienze di partecipazione sono ancora più importanti proprio perché c’è un clima emotivo molto alto. Il fatto di condividere un po’ di più è insomma centrale per recuperare un’intesa, aldilà del settore merceologico. Distribuire lentezza e velocità nei posti giusti, senza sacrificare l’intelligenza delle persone è vitale”.

Dall’azienda al singolo. Cosa consiglia a un lavoratore stressato per recuperare un po’di equilibrio? “Può sembrare banale, ma quando un lavoro piace stressa sicuramente meno: si va a letto stanchi ma non stressati. I lavoratori più stressati dal punto di vista psicologico sono quelli in cui non c’è oggetto d’amore: non si sa il perchè si fanno le cose e si viene estraniati dai capi. Sul posto di lavoro, trovare un equilibrio tra una forte individualità e un forte collettivo è la via giusta poiché tutto è generato dall’individuo. Dare un senso a quello che si fa è il modo per ritrovare il benessere”.

Di Maria Teresa Melodia
mariateresa.melodia@gmail.com

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