Sullo scaffale/L'epoca delle passioni tristi

Siamo noi che entriamo in crisi o è il mondo in cui viviamo che è in crisi di per sé? E soprattutto, in un quotidiano della precarietà, dove vige un senso dilagante di impotenza e incertezza, non è quasi inevitabile che uomini e donne che si stanno formando si confrontino con delle “crisi” più o meno profonde?

La cultura occidentale postmoderna viene definita l’epoca delle passioni tristi (definizione presa in prestito da Spinoza) dagli psichiatri Miguel Benasayag e Gérard Schmit, autori del libro dal titolo omonimo che si autodefiniscono terapeuti della crisi. L’ascolto è secondo i due specialisti l'apriti sesamo, la formula magica in un contesto nel quale la crisi in senso lato si innesca come conseguenza di un cambio di segno del futuro, dovuto al modo in cui si percepisce il tempo, dove il pessimismo non vede progresso, dove la sfiducia verso la scienza si affianca alla crisi dell'autorità, dove l'individuo annulla i molteplici aspetti della persona. In una società del dover essere aldilà di quello che si è, del dover dimostrare aldilà di quello che si sente, c’è forse una strada che può segnare una svolta, come indicano i due autori del testo citato: coltivare i propri talenti, il proprio modo di essere, senza fini immediati, occupandosi di se stessi e degli altri, distinguendo le sofferenze psicologiche dai problemi di ordine psicologico, evitando il rischio di fare degli psicoterapeuti dei guru da consultare in ogni occasione. Insomma, accettare le proprie mancanze, ridare spazio all’Uomo, all’ascolto delle parole e dei silenzi, senza giudicare, perché non è mai facile capire. Perché più che trovare se stessi è necessario creare se stessi. Per questo, alle passioni tristi devono essere contrapposte con forza le passioni gioiose.

Una lettura interessante suggerita dalla dott.ssa Anna Pati, del servizio di counselling psicologico dell’Università Cattolica di Milano, che mi ha aiutato con il suo prezioso contributo a scrivere sull'ultimo Campus di Marzo di malessere giovanile, depressione e ventenni che tragicamente non reggono il peso delle aspettative "in una società che ci dice che dobbiamo essere sempre al top, pensare positivamente, essere competitivi, mettere da parte le paturnie e dall’altro però non offre delle risposte adeguate a quelli che sono i bisogni". Il primo errore? “Quello di pensare che gli altri ti possano amare solo se sei assolutamente perfetto. Invece gli altri ti possono apprezzare se tu ti apprezzi, se tu distingui tra quella che è una prestazione e quello che sei tu".

Di Maria Teresa Melodia
mariateresa.melodia@gmail.com

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