L’informatico diventato birraio La storia di Hibu

Una birra? Destinazione Burago, dal mastro birraio
Si fa con acqua, orzo, lieviti e luppoli. Sapete che siamo un Paese a tutta birra? Circa due microbirrifici a provincia, una media di 650 impianti produttivi attivi, da nord a sud, a fine 2014, più di 950 a fine 2015, con picchi in Lombardia, malgrado burocrazia e tasse sopra la media europea. Un freno per una realtà imprenditoriale che scalpita, tra consumi, locali e negozi. La birra è la bevanda più diffusa al mondo e, con moderazione, fa anche bene alla salute. Piace a 35 milioni di italiani, specie se artigianale: prodotta da birrifici indipendenti, non microfiltrata, nè pastorizzata. E’ questa la passione dell’ex informatico monzese classe ‘75, Raimondo Cetani, che nel 2007, con tre amici, è diventato mastro birraio, creando il marchio Hibu, birrificio artigianale e azienda agricola, a Burago di Molgora (Monza e Brianza).


La sveglia suona alle 5.30, ma «sono sempre in vacanza» - mi dice, ridendo, mentre segue la cotta nella fase di ammostamento. «E il 14 e 15 maggio 2016 festeggiamo i 9 anni di vita». Ecco chi c’è dietro a Hibu, tra bollitori, campi, etichette, viaggi, musica, un progetto solidale e sguardi oltreconfine, perché il meglio deve ancora venire, come cantava Sinatra


Lavoro sodo e amicizia. Qui c’è fermento
Nel capannone di 1500 metri quadri, inaugurato a novembre 2015 con pannelli di street art, Raimondo, detto Rai, racconta: «La H iniziale è un omaggio all’homebrewing, la birra fatta in casa e ibu, International Bitterness Unit, è l’unità dell’amaro presente nella birra. Da qui sono partito, nel 2000, da un kit per la fermentazione della birra, il sabato, in garage». La domenica era dedicata al rugby e al calcio. Rai coinvolge poi tre amici tra cui il collega Lorenzo Rocca, ex informatico e Tommaso Norsa, ex manager di Birra Peroni. Oggi sono in 10 ad occuparsi di 3000 ettolitri e più di 30 birre. C’è Patrizia, al marketing e ai social media, in sella alla bici targata Hibu carica di volantini. C’è Maurizio, il commerciale. C’è Laura, la chimica. Ci sono Andrea e Riccardo al magazzino e Simona alla segreteria. Si respira operosità tra agricoltura, artigianato, industria vecchia (fino al 2005 c’era la produzione delle macchinine Burago) e nuova. C'è un profumo intenso e dolce tra orzo, malto e luppoli, in una storia che lega pazienza, semplicità e amore



Dalla beerfirm al micro birrificio, artigiani e quasi, pionieri
Nel 2007 il birrificio è ancora senza impianto, una beer firm, una delle prime in Italia: «Andavamo dal Birrificio Artigianale Bassa Bresciana BABB a Brescia, con la ricetta in mano e poi rivendevamo il nostro prodotto», ricorda Rai, agitando le mani su cui ha tatuate le sue iniziali, con indosso felpa e codino rasta sulla nuca. «Lo scatto lo covavo dagli anni ’90 - racconta, mentre procede con il lavoro ai bollitori, con quel lucicchio negli occhi che hanno le menti vulcaniche - quando andavo in vacanza in Belgio a trovare i parenti, nella terra dove la birra è cultura». Nel 2011 la birra diventa il primo lavoro in uno spazio di 500 metri quadri, a Bernareggio. «A questo punto erano gli altri, tra cui gli ottimi Birrificio Via Priulia e il Birrificio Olmo, che venivano da noi a farsi imbottigliare la birra sfusa». Poi nel novembre 2015 l’investimento di 1 milione di euro nel capannone Hibu a Burago di Molgora


La prima cotta non si scorda mai
«Da tre amici al bar, ora siamo una realtà. Un micro birrificio, una  società agricola» dice Rai, mascherando l’emozione che gli pulsa sotto pelle. Euforia, ma con calma. Hibu nasce infatti dal desiderio di condividere del buon tempo con le persone che si amano. Se la prima birra monzese, Birra Monza, risale al 1909, «la prima Hibu è si chiama Eil, una stile belga, con aromi di frutta tropicale», racconta, davanti alla macchina che imbottiglia, Lorenzo Rocca, sguardo vispo, brianzolo di Agrate, classe ’76, ex informatico dal 2011. «Poi sono arrivate Entropia (una Golden Ale), Gotha (una Triple), Vaitrà (APA con luppoli americani). I nomi nascono per caso», aggiunge l'alto e barbuto responsabile della cantina, ma anche della logistica, dai tappi alle scatole fino al magazzino passa tutto da lui

La terra e la materia prima
In Brianza, se il cielo è in buona, dopo una notte di pioggia, hai sopra la testa un soffitto celeste, smosso come un letto sfatto, puntellato di bianche nuvole-cucuzzoli. Di fronte, distese di campi a perdita d’occhio, come i 23 ettari dietro al birrificio Hibu, acquistati nel 2015, «dove presto accanto all’orzo e al frumento si affiancheranno luppolo, lamponi, fragole», spiega con orgoglio il mastro birraio perfezionista. Campi che si aggiungono all’azienda agricola di 15 ettari in Basilicata, dove ci sono parenti fidati: «Vicino a una malteria nella località S. Nicola a Melfi, provincia di Potenza». Qui ha sede infatti la Agroalimentare Sud S.p.A che trebbia l’orzo e lo trasforma in malto, indispensabile nella produzione della birra

Come si fa la birra artigianale?
«Fare la birra artigianale è una cosa lunga», racconta Raimondo. Dopo la maltificazione dell’orzo, c’è l’ammostatura, la cottura, la fermentazione (primaria e secondaria). Seguo nel processo il mastro birraio, che spiega con precisione, facendo trasparire la passione di un lavoro tosto, in cui c’è, però, anche divertimento: «Ci vogliono tra le sei e otto settimane dall’inizio alla bevuta. Il malto d'orzo viene tritato e cotto in contenitori, i tini di ammostamento, uno con acqua calda e uno con acqua fredda. L'amido dell'orzo viene trasformato in zuccheri e in un altro contenitore viene filtrata la parte solida dei chicchi, che rilasciano scarti, le trebbie. Si ottiene, in una centrifuga, un liquido zuccherino, il mosto, che viene portato ad ebollizione e, nel miscelatore, unito alle infiorescenze (rami e fiori) di luppolo. Da qui nascono gli aromi della birra, mentre l’amaro arriva dal mosto filtrato dal luppolo»

Alte o basse fermentazioni. Ale o Lager?
Il tutto viene poi raffreddato e si passa alla fermentazione, che può essere, a seconda del tipo di lievito usato, ad alte temperature, fino a 20 gradi centigradi, con cui si ottengono birre Ale (molti stili tra cui Stout, Porter, Barley wine, Oud bruin, IPA, APA), amarognole e fruttate, o a basse temperature, fino ai 10 gradi centigradi, per birre Lager, più o meno chiare, pulite e a bassa gradazione (Bock, Dunkel, Pilsner, Kellerbier). «Inserito il lievito inizia il processo nei tini di fermentazione che dura una settimana: si produce alcool, anidride carbonica e composti aromatici. Passano altri 15 giorni. La birra viene lasciata maturare, gasata, miscelata e finalmente, imbottigliata da 33 o 75 cl, o infustata in contenitori cilindrici. Viene messa in stoccaggio in celle frigorifere a 10-12 gradi. In alcuni casi, prima dell’imbottigliamento c’è un’ulteriore rifermentazione in bottiglia in celle a 20 gradi, con aggiunta di altri lieviti per arricchire l’aroma»


Il potere della birra (artigianale)
La birra artigianale è per definizione una birra naturale, senza conservanti e coloranti, con una selezione attenta delle materie prime. Ecco da dove nasce l’orgoglio e la soddisfazione. E quando è buona? Lorenzo, sorridendo, mi dice: «Quando ti piace, è una questione personale. Ti dico che la nostra lo è perché sono responsabile della qualità, conosco la materia prima che uso. E’ fondamentale conoscere il produttore e il processo di produzione. La birra buona ti fa stare bene, da sola o in compagnia». E fare birra cosa significa? «Stare a contatto con la gente, creare qualcosa di festoso, avere la soddisfazione di un volto, che felice, con il bicchiere o la bottiglia in mano, ti dice - E’ buona - »

Che gusto vuoi? Tra viaggi, musica ed etichette d’autore
Le Hibu sono 16, tendenzialmente Ale, amare e luppolate, ispirate dalle passioni di Raimondo, viaggi e musica. Otto Perenni, che ci sono sempre come la gettonata Trhibù (American IPA) e la tedesca ‘Ndo Waiss (Weizen) e otto Stagionali, divise tra una collezione autunno-inverno, tra cui la Mood (Imperial Porter) e La Tribeca (Barley Wine) con un lievito da rhum, e una primavera-estate, tra cui la Uaterlo che profuma di rosmarino corso. Cosa cambia? Lorenzo mi spiega con padronanza: «Dipende dal grado alcolico. Più leggere in estate. Più alcoliche e corpose in autunno inverno. E’ come per il vino. C’è il novello, il barolo e lo spumante». E ogni birra ha un’immagine colorata e personalizzata in cui rivive un personaggio ispirato alla storia della bevanda. Le etichette, fantasiose e colorate, le ha create Giuseppe Ferrario, fumettista e disegnatore milanese, tra i tanti, per Topolino fino al mitico Topo Gigio

Birre Fugaci. Anche per fare del bene, in Nepal
Ci sono poi le sperimentazioni, quelle che arrivano, all’improvviso, come le occasioni: «Le birre Fugaci, le cosiddette one shot, ogni lasciata e persa, che se sei fortunato le bevi una volta sola», continua Lorenzo. «E’ nata così una birra speziata, la ‎Masalabir, prodotta per aiutare il progetto dell'associazione Il Nodo Infinito, ideato dall’alpinista e medico Annalisa Fioretti a sostegno, per sette anni, di percorsi scolastici per 20 ragazzi poveri o rimasti orfani a causa del sisma avvenuto in ‎Nepal nell’aprile 2015. La Masalabir si ispira alla “birra” locale nepalese, un fermentato di orzo e riso detto “‎tchyang”. È aromatizzata con Masala Tea e luppolata con due varietà sperimentali non ancora disponibili in Italia»

Birra e tavola. Mangia e bevi
In Italia la birra viene spesso consumata durante i pasti (nel 70% dei casi), o come aperitivo, spesso rinforzato. E gli abbinamenti con il cibo possono essere diversi, come argomenta Lorenzo: «Basta seguire la tipologia e stagionalità dei prodotti, dalle verdure ai formaggi fino agli affettati e ai risotti. Si cresce o di colore o di grado alcolico», semplifica. Con un affettato? «Va bene una birra chiara leggera, con un retrogusto amaro. Con i risotti birre delicate ma anche più gustose che si adattano a secondi di carne più corposi. E poi ci sono i dolci. La nostra Gotha, chiara, a quasi 8 gradi, si gusta bene con crostate e pasticceria secca. O la Mood, un Imperial Porter, è buona con muffin al cioccolato». La mia preferita? «Sono tutte figlie mie», dice sorridendo


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Di Maria Teresa Melodia
mariateresa.melodia@gmail.com

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